conclusione che
qualunque scelta sarebbe estranea al mondo popolare e comunque ci risultava una
forzatura racchiudere entro schemi rigidi una materia che invece è estremamente
mobile.
La tradizione orale Le
canzoni, per la maggior parte, sono molto antiche: sopravvissute grazie alla
tradizione orale, è facilmente comprensibile come possano aver subito varianti,
tali da trasformarne, a volte, i contenuti (normale problematica del
passaparola). Le diverse sfumature e inflessioni della parlata, con il
continuo "transumare" delle canzoni, hanno modificato i testi. La grande sproporzione
che esiste fra il numero di testi musicali e poetici superstiti e la grande
quantità di varianti e anche di versioni musicali diverse per il medesimo testo
poetico, ci fa pensare ad una tradizione in cui l'apporto diretto dell'esecutore
ricreatore, sulla traccia di melodie-tipo note e diffuse oralmente, avesse una
funzione determinante. Suonatori, cantastorie e
contafole giravano da una regione all'altra con il loro bagaglio di musica,
cante e storie (come il mitico "Borsete" di Illasi e
poi l'erede della sua fisarmonica Domenico Anselmi detto "El Minci" di San Bortolo delle Montagne).
Era una cultura che si tramandava da una generazione all'altra e di cui
nulla andava perduto, accessibile a tutti e nessuno ne era escluso; riguardava
l'esistenza stessa nei suoi momenti tristi o felici e per scuola aveva la
famiglia, oppure la stalla, durante il filò delle lunghe sere d'inverno, oppure
la filanda o la risaia, dove cantare alleviava la fatica. Una cultura che resisteva
da secoli, anche se ignorata da quella ufficiale, ma che progressivamente si è
deteriorata, a seguito del forzato livellamento linguistico e di costume operato
dai mezzi di comunicazione di massa e che, con il rimescolamento della
popolazione e il suo inserimento nel tessuto sociale urbano, ha perso la sua
precisa identità etnica. Una cultura soppiantata dalla violenta comparsa del
sistema consumistico e dell'industria del divertimento.
Le
origini.Nel caso di canzoni popolari, parlare di
origini è sempre azzardato. Alcuni studiosi affermano che la genesi di molte
cante va ricercata nell'area mitteleuropea, lontano ricordo dei coloni tedeschi
medievali; altri, invece, vorrebbero trovare tracce della saga Longobarda.
Vogliamo ripercorrere la via della
musica "colta" e della letteratura ufficiale, per intuire come il popolo si
esprimeva nel canto e nella musica (non è un tentativo di evocare il ricordo di
profonde sonnolenze scolastiche ), spinti dal fatto che alcune cante della
nostra raccolta, quelle che riteniamo le più antiche, ci inducono a ragionare
sulla possibilità che sia esistita una via popolaresca dell'epopea, come
necessità di un popolo affamato di miti e leggende. Teniamo anche presente
che i musicisti "colti" si sono sempre serviti di temi popolari, spesso tali e quali, oppure traendone spunto per i loro
lavori. La Chiesa ha fatto uso delle melodie popolari per i canti liturgici (
almeno fino alla Controriforma ) pur di renderli avvincenti. Partiamo
dall'anno Mille, quando in Europa si diffusero nuove lingue che, negli usi
quotidiani, soppiantarono il latino volgare. Fu allora che nacque la prima
importante tradizione poetico-musicale profana: la tradizione monodica dei
Trovatori: poeti aristocratici che,
nelle corti, declamavano e cantavano accompagnandosi con la lira e la mola.
Cantavano improvvisando, e, con un virtuosistico uso della metrica, narravano
storie di amore avventuroso e di magia (fontane
dell'amore, filtri magici, palazzi e giardini esotici incantati, maghi e fate,
ecc...), di fantasmagorici personaggi ed eventi delle passate età eroiche e
fiere. Il genere poetico dei trovatori era incentrato sulla canzone d'amore
che si sviluppava in alcune tematiche epico-liriche e sulle contaminazioni tra
queste ("la bevanda sonnifera", "fior di tomba", "il cavaliere
e la pastorella" e il gioco di
richieste e dinieghi amorosi). Studiosi, letterati e poeti ricercarono l'origine
del canto trobadorico sorpresi per il modo improvviso con cui questa tradizione
comparve nelle regioni meridionali della Francia di lingua occitana e si radicò
nella cultura occidentale introducendo una nuova visione dell'amore e un nuovo
modo di cantarlo in forma poetica. Il fenomeno fu così vasto che coinvolse tutte
le classi sociali. Nel Duecento, la crociata
contro l'eresia Albigese devastò, materialmente e culturalmente, la
Linguadoca (Papa Innocenzo III autorizzò la crociata, la feudalità del
nord della Francia, di lingua d'oil, si precipitò a far bottino nelle terre del
sud), costringendo i signori della Provenza a mettersi in salvo nelle regioni
settentrionali italiane. Fra loro c'erano moltissimi Trovatori che, per via di
una moda della poesia provenzale che aveva già influenzato la popolazione
medio-colta, furono ben accolti alle corti. Anche la storia ufficiale della
letteratura spiega che, nel tredicesimo secolo, le "canzoni di gesta" dei due
cicli Carolingio e Bretone della letteratura francese erano le preferite dal
popolo Veneto e soprattutto a Verona. Questo portò alla
nascita di una letteratura cavalleresca detta francoveneta: scritta in lingua
d'oc inquinata da italianismi e venetismi poteva essere intesa anche da persone
meno colte. La moda di questo genere di canto si è diffusa per il gran
peregrinare di GIULLARI e cantimpanchi di cultura vicina alla mentalità
popolare, per la semplicità e la schiettezza dei motivi, per un certo gusto
realistico e per la sua adesione a temi e situazioni della vita quotidiana. I
Giullari si producevano in una grande quantità di intrattenimenti, fra cui
l'esecuzione di canzoni trobadoriche,
canti per feste popolari, contrasti (fra amanti, moglie e marito, ecc...),
lamenti di fanciulle desiderose d'amore o di donne malmaritate, ecc... Arrivati
a questo punto sembra di imbatterci, finalmente, in un fenomeno che ha
notevolmente incrementato il formarsi della canzone popolare. Il Saffioti nella sua "Enciclopedia della
Canzone Popolare" spiega che il Trovatore era sostanzialmente una figura
aristocratica, per nascita e per cultura, e, specialmente all'inizio del movimento, gli esponenti
erano signori d'alto lignaggio e quindi le canzoni contenevano un messaggio
allineato alla cultura dominante. Il Giullare era personaggio del popolo,
anche se in qualche modo alfabetizzato, ma, proprio per questo, tale da fare da
tramite tra la cultura "dotta" e la cultura popolare, sempre schierato,
per nascita e situazione, dalla parte di quest'ultima. Molteplici erano le
funzioni che, con ogni probabilità, il giullare svolgeva all'interno della
classe subalterna medievale: fungeva da gazzetta, portando nei piccoli villaggi,
completamente isolati dalla realtà circostante, notizie di quanto succedeva nel
mondo; offriva occasione di svago e di divertimento; favoriva la circolazione di
canti, storie, e il proliferare di miti e leggende, che avevano così un'area di
diffusione più ampia di quanto avrebbe consentito la società del tempo. Numerosi
studiosi si sono interessati al MITO e alla sua influenza sui comportamenti
umani. C'è chi sostiene che il mito racconti la verità, mentre la Storia è da
ritenere ormai menzogna. Noi aggiungiamo che la Storia avrebbe avuto poco
"succo" senza il mito, oppure che la "storia" non sarebbe passata alla Storia
senza il valore che il mito le ha dato. La storia quindi si arricchiva e trovava
il senso tragico proprio nel mito. Il mito coglie sempre l'essenza delle cose e
in modo più preciso ed essenziale della storia stessa. Dalle leggende e dai
racconti di fatti storici miticizzati nasce la BALLATA. La ballata, affidata alla
memoria popolare, adattandosi, subisce delle trasformazioni e si muove tra il
magico, l'eroico, il cavalleresco, l'amoroso e il domestico. Poco è rimasto delle canzoni popolari veronesi originali. Nel
repertorio orale della provincia ha subìto pesanti conseguenze, a causa della
continua alternanza del potere e la presenza di sempre diversi eserciti, che, a
lungo andare, hanno alterato la fisionomia dell'etnofonia locale e hanno
importato canti forestieri, inquinando quelli indigeni. Le due grandi guerre
hanno arrecato un ulteriore danno con la distorsione e la trasformazione dei
testi, perché assumessero un carattere militare-montanaro. In seguito, questi
"canti di montagna" hanno subito un ulteriore logoramento, per le continue
rielaborazioni armoniche (spesso assurde, pesanti e innaturali) ad opera di
corali alpine e parrocchiali. Questi stessi cori hanno spesso ridicolizzato
canti di intensa poesia caratterizzandoli con sciocchi versacci pur di renderli
comici. Ricercatori.Alcuni
autori illustri del periodo romantico, come
Giacomo Leopardi, si sono interessati alle canzoni popolari, e, nel
Risorgimento, Giuseppe Mazzini le cantava accompagnandosi con la chitarra.
Giovanni Berchet studiò a lungo la tradizione popolare e la sua
poesia, definendola "vergine voce del popolo, sgorgata ingenua e immediata dal
cuore". Giosuè Carducci raccolse e pubblicò ballate dei giullari, altri lo
imitarono e una discreta mole di questo materiale giace in qualche biblioteca.
Ma, nel secolo scorso, alcuni studiosi si accorsero della necessità di
raccogliere in maniera scientifica il prodotto popolare: leggende, fiabe, proverbi, cante, villotte e strambotti. Nel
territorio veronese, purtroppo, ben poco è stato fatto. Nel 1863, il
letterato ETTORE SCIPIONE RIGHI diede alla stampa il frutto delle sue ricerche ("Saggio di canzoni
popolari veronesi"). Altri
lo seguirono, appassionandosi all'arte popolare, come il conte ARRIGO BALLADORO ("Folklore veronese: canti" 1898, "Canti popolari in
dialetto veronese" 1906) e l'abate PIETRO CALIARI ("Antiche
villotte" 1900). Purtroppo solo il Righi, con l'aiuto di un musicista, si è
curato di fermare sulla carta anche la musica di alcune cante. Molto più
accorti sono stati i ricercatori del nostro secolo come A.Cornoldi, R. Leydi, V.
Consoli, M. Conati, E. Bonomi e il nostro amico Dino Coltro:
infatti tutti hanno usato metodicità da scienziati nel raccogliere il materiale
per i loro lavori, registrando le interviste, trascrivendo testi e musica senza
correzioni ne ritocchi, annotando la fonte e la località d'origine. I loro
lavori sono le nostre guide culturali. R. Leydi: "I canti popolari italiani"
(1973); D. Coltro: "Paese perduto" (1975), "Mondo contadino" (1982), "Colognola ai Colli" (1984), "Cante e cantàri" (1988); A.
Cornoldi: "Ande, bali e cante del Veneto" (1968);M. Conati: "La musica di
tradizione orale nella provincia di Verona" (1976) e le sue registrazioni dal
vivo in "Veneto, canti e musica popolare" (1979). Finalmente, oltre che a ricercare, qualcuno ha provveduto,
anche, a riproporre i brani raccolti; sono così nati numerosi gruppi di musica e
canto popolare: il Canzoniere Veronese e Grazia De Marchi ( ormai famosa interprete delle bellissime canzoni raccolte da lei
stessa ed entrate, per prime, nel nostro repertorio), il Coro delle Contrade
(Prova di San Bonifacio), i Venètno, il Canzoniere
Vicentino, i Calicanto e molti altri ancora nel
Veneto. Alcune canzoni, frutto del lavoro dei ricercatori già citati, sono
entrate felicemente nel nostro repertorio. In Val di lllasi sembrava che le
canzoni fossero state dimenticate e perse per sempre, ma dagli anni settanta è
iniziata la ricerca, prima per la determinazione di qualcuno, ed ora, con la
forza di un'intera Associazione. Ora, siamo certi, e la nostra raccolta ne è
la prova, che la gente della Valle ha sempre cantato e ballato nonostante le
proibizioni. Nel libretto "ILLASI" pubblicato nel 1960 da Giovanni Solinas,
Gian Maria Pegoraro e Luigi Zumerle si legge: il quindici aprile del 1545, i
fratelli Domenica e Girolamo Severi, illasiani, imbastirono una festa da ballo
"cum violettis et cantando". Subirono una penalità di 40 soldi... Nel 1668, ai
tempi della Repubblica Veneta, il Vicario (conte Marco Pompei) emanò un bando:
Le pubbliche feste da ballo siano del tutto proibite, pena di troni
50".
L'informatore. La ricerca non è facile: bisogna prima fare
un po' di amicizia con l'anziano, perché riesca ad aprirsi e poi occorre
incontrarlo più volte: così, pian piano, i ricordi riaffiorano alla memoria.
Purtroppo, ha dimenticato quasi tutto, ma non ha dimenticato la guerra, e fa
notare che, in quei tempi, poca era la voglia di cantare. Racconta di una vita
trascorsa lavorando nei campi come laorente: sveglia alle quattro, il fieno per
i buoi, il letame e poi la derla sulle spalle per portare terra sul monte.
Racconta del lavoro come manovale sotto gli austriaci. Quanto all'anziana, questa racconta della difficile
condizione femminile, di quando andava a servissio o del lavoro
duro in filanda; racconta che
la donna sposata, nella famiglia del marito, era trattata come una serva. È
rispettoso ignorare quella lacrima asciugata in fretta con la mano. Spesso
saltano fuori canzoni della guerra o del San Remo primordiale: si fa finta di
nulla e si continua a scavare alla ricerca del giusto filone. Negli anni
settanta non avevamo coscienza per annotare e vagliare le informazioni raccolte,
si ascoltavano gli anziani e poi si cantava (per il piacere di
cantare!) e tutto il raccolto si
intendeva come "opera collettiva". Per noi è un piacere, oltre che un dovere,
citare i nostri informatori specificando quali brani ci hanno regalato. Molte
canzoni sono già presenti in altre pubblicazioni, frutto del lavoro di altri
ricercatori, ma è interessante confrontarne i testi e ricostruirne la
divulgazione. Notevole, infatti, è il trasformismo di queste cante e il
Nigra,
famoso esperto di tradizione popolare, nel suo "Canti popolari del Piemonte"
(1888) ha scritto: "strofe intere si corrodono lentamente, si perdono, e altre
nuove pigliano il posto delle antiche, ma il perno del canto, per così dire,
rimane eguale in tutte le lingue ed in tutte le lezioni". Si deve tener conto,
inoltre, che il territorio collinare veronese è zona di transizione etnofonica
tra il Veneto stesso, la Lombardia e il Trentino. In Lessinia è notevole la
differenza nella parlata e nell'emissione di voce perfino tra le valli e
l'altopiano. La "Susanna vati a vesta" è stata trovata in svariate versioni, nel testo e nella melodia,
sulla stessa montagna veronese e anche nell'ambito della stessa contrada! La più
antica versione è quella raccolta dal Righi, intervistando la signora Luigia
Zerlotti di Tregnago nel 1857. In questo nostro libro sono raccolte solo canzoni di
certificata origine veronese o penetrate anticamente nella provincia dalle zone
limitrofe. Attenti ad evitare il minimo inquinamento, abbiamo scritto i testi e
ricostruito la musica dalle registrazioni. È doveroso precisare che, della
partitura, solo la nuda melodia è originaria. Gli accordi facilitano
l'appassionato che vuole accompagnarsi nel canto con chitarra o
fisarmonica.
Questo è il frutto della nostra "ricerca sul
campo":DREZZA ELDA (Illasi,
1931): L'inglesa - Tarcila - Amavo un amorino -
La mia mama l'è vechierela. CAPPELLETTI ZENO (Velo Veronese,
1929): Damelo damelo. POZZERLE GIOVANNA
(Velo Veronese, 1928): Se me la trovo picola -
La ragassa - Mama de la mia mama. ZACCARIA OTTAVIO (Tregnago, 1935):
La bela s'endormensa. DALLE AVE GIUSEPPINA (Cazzano
di Tramigna, 1915): Angelo bel
Angelo - Angiolina - La leterina -
Biondina d'amor - El paracar - La bela la impasta i gnochi - La bela Violeta -
Povaro merlo - Noi siamo i tre Re -A la matina
a l'alba - Le mondariso - Senti le rane che cantano - Dami un ricio - Gli esemponeri - La vien giù da le montagne - Pian
pian bel bèlo -O Bepin sentève qua - La
Filomena - Le butèle che ven su adesso. CATAZZO LINA ( Cazzano di Tramigna,
1924 ): In questa santa note de l' oriente
- Questa note è nato in tera - Siamo qui
con la gran stella - Teresina e Paolineto
- Due fedeli amanti - Marieta a la
finestra. TAIOLI RITA (Cellore di Illasi, 1939) e VENTURINI CELESTINO
(1934): Donna lombarda - Suona la
mesanote. LEONARDI ROSETTA (Verona, 1915):Gli scariolanti - In campagna si
trova l'amante. PRETTO SCOLASTICA ( Creazzo, 1910 ): La si mete i seceti in spala - Son passato per Trieste. ZAMBALDO
LUIGI detto BION (Cellore, 1934): Cara Emma. BRAVI ATTILIO (Illasi, 1920): Un
sabato di sera. BRAVI TERESA E MARIA (Illasi, 1925): Come se fa. CASSINI
LIDIA (Cellore di Illasi, 1930): Maridève
butelote - Dormi mia bela dormi -
Amor dami quel fassolettino - Son passato - Torototèla - Merica Merica - Le
carosse - Eulalia - La ricciolina - La lavandaia - Venendo giù dai monti -
Pinota - Dove vai bela fantina-Un bel giorno andando in Francia - Dimi per chi
(il testo). ZAMBALDO SILVANO (Cellore di Illasi, 1938): I gati (la gatina
furbaciona). VENTURINI GIOVANNA (Cellore di Illasi, 1938): Sirio -
Moreto. OLIVIERI ROBERTO (Soave, 1931): Doman l'è festa. BENNATI VITTORIO
(Illasi, 1918): Sveglia molinaro - Me compare
Giacometo - El nostro vin de Illasi - Gran Dio del cielo - Mama mia dami cento
lire. TURCO ANNA ( Illasi, 1933
): La strada del bosco - La bela la va in
campagna - Il cacciatore nel
bosco. MANTOVANI ANSELMO (Badia Calavena, 1915) con i suoi amici della BAITA ALPINI di Badia Calavena: La
monichella - La cameriera - Le butèle da San Francesco - Un beco - A Rovigo - Il ventinove lulio - La
cartolina. TAIOLI MARIO (S. Valentino di Badia Calavena, 1919): I scalini de la scala. ROSSI BEPI (Bettola di Badia
Calavena, 1924): La bicicleta. CORO DELLE CONTRADE (Prova di San Bonifacio):
Chi t'à fato Raccolte da Vezzari Giuseppe per conto del Coro Piccole
Dolomiti di lllasi: BENEDETTI MARIA (Illasi,
1923): La vien giù da le montagne 2 - La filia
del paesan. ALDEGHERI MARIANNA (Illasi, 1923): Cara mama maridème
-E la rosa l'è un bel fiore - Ho deciso di salire - A la moda dei montagnol - Quando è il tempo delle ciliegie - Bondì de
l'ano - Caminando giorno e note - La capanna. VEZZARI ANTONIO (Illasi,
1917): Sia lodato e sempre sia. Ad ogni canzone recuperata, una nuova emozione
per noi! L'emozione più forte è quella provata nell'imbatterci
nell'antica ballata "L'inglesa" proprio ad lllasi. L'informatrice è DREZZA ELDA
(Illasi, 1931), amante del canto per tradizione di famiglia. "Mia madre"
(Faettini Egidia, Masi, 1905), racconta Elda "cantava tutto il giorno,
nonostante le difficoltà e i dispiaceri, e questa canzone era la sua preferita".
Ovviamente c'è qualche differenza da "L'inglesa" della raccolta "Canti narrativi
del popolo veronese" del 1905 di A. Balladoro
integrata da alcune strofe frutto della ricerca di Grazia De Marchi (Fumane in
Val dei Progni, località Tre Mulini, nel 1980): identico il tema, identico il
dramma dell'eroina in tutte le sequenze, leggermente diverso il testo ma solo
nel linguaggio, diversa la melodia che in entrambe, però, presenta le identiche
sonorità antiche. Molte cante hanno perso
la musica, non è un'assurdità, sono rimaste solo le parole.
Siamo in possesso di una discreta quantità di testi bellissimi e, fra questi, le
villotte e le filastrocche raccolte da Pietro Caliari. Il modo più sicuro di
metterli in salvo è stato quello di creare una melodia adatta e il più possibile
vicino alla spontaneità popolare: El galeto - La fiola del pastoro - Cos'è la vita -
Quel'ucelino - Dame la rosa - Filastrocca
- Licenza o no licenza - El marinar - Fiorin di pepe - Dimi per chi - Canson
roversa - La Rosina dai Casoti - Rosina da l'ua - Na chìcara de cafè -I mesi
dell'anno - Serenata. Le uniche canzoni di cui si conoscono i cantautori
popolari sono: "La cavra de Bertoncelli" di Guglielmo Guglielmini (Fumane, 1879-1956) mugnaio della Val dei
Progni (a noi trasmessa da Arturo Zardini), "La rosa e la viola", "Son
musicante" e "Sta canson l'è vostra" di Paolo Domenichini (Illasi, 1951). "La
canson de la bela mimosa" è una poesia, tratta dalla raccolta "a l'àncora" di
Carla Zanini Ferrari (Verona, 1926-1994), da noi messa in musica. Abbiamo voluto arricchire questa raccolta con un brano della
tradizione occitana: "L'ase d'alegre". È un omaggio a chi conserva tenacemente
la propria tradizione musicale e culturale. Abbiamo
scritto il testo secondo la pronuncia della lingua d'oc in modo da facilitarne
il canto.
L'informatore emigrato. I primi movimenti migratori (1870) a carattere temporaneo
(muratori, artigiani) si indirizzavano verso l'Austria, la Francia e l'Ungheria.
Pochi anni dopo (1880), il fenomeno cambiò con l'allontanamento definitivo dalla
propria terra per emigrare nelle Americhe (Argentina e Brasile). In Val di
Illasi il fenomeno fu più limitato. La mezzadria era diffusa, ma la condizione
prevalente era quella di laorente per l'adulto, e di fameo per il ragazzo presso
mezzadri o piccoli possidenti. Qualcuno è partito per
estrema necessità, altri per il desiderio di migliorare le proprie condizioni.
Intenso fu il movimento stagionale: partivano da Genova in autunno, quando qui i lavori erano finiti, per andare a lavorare di là dove,
iniziando l'estate, cominciavano anche i raccolti. Potevano tornare in
primavera, ma, pagato il viaggio, rimaneva loro un guadagno di appena alcune
decine di lire, compenso del lavoro di quattro o cinque mesi. Per chi è dovuto
emigrare, definitivamente, conservare il ricordo delle canzoni ed esercitare la
parlata era l'unico modo per non sciogliere il legame affettivo con la propria
terra, era l'unico modo per trovare conforto al dolore per il distacco. Fino a
pochi anni fa, si riunivano periodicamente per cantare. "Oggi non si canta più",
ci racconta Antonio Percat, classe 1921, emigrante Istriano che vive attualmente
in Argentina. Non vuole dimenticare le
proprie radici, e, con la moglie, ha fatto quest'anno il viaggio dei ricordi:
cercava un amico di prigionia; l'ha trovato a Cologna Veneta, purtroppo sepolto
da tre anni! A Pola, alunno di 10 anni, cantava, con il suo maestro elementare,
la "Povaro merlo". In Argentina, nelle feste tra emigrati, ballava, con la
moglie, il "Cori cori Bepi". Con dolore ci ha detto d'essere
rimasto solo lui dei vecchi della sua andata! Cantare era un alimento per
sopravvivere, un alimento che arrecava ricchezza e nostalgia, ma anche allegria,
letizia, ricordi non perduti, ma conservati in fondo al cuore, lasciato nel
Veneto in qualche valle della collina veronese. Queste
le cante raccolte tra informatori emigrati: Dighe no - La vole maridarse - Ti ricordi Adelina - Bepina - La bela Irene
- Moretina bela
ciao
- La polenta...(solo il
testo).
Contenuti.
Può succedere che, leggendo i testi di queste cante, si riesca a
coglierne i messaggi e scoprire una nostra identità più antica: quella delle
nostre origini. Alcuni canti sono di
genere lirico, leggero, snello, e, con candida ingenuità, esprimono graziosi
concetti d'amore, di tristezza, di gioia, di sofferenza; altri hanno qualcosa
della satira e sono apertamente pungenti, frizzanti, oppure scintillano qua e là
d'umorismo; altri ancora si abbandonano al piacevole divertimento del doppio
senso, senza mai cadere nella volgarità.
Canto
narrativo. Alcuni canti, detti narrativi, raccontano
storie con i caratteri propri della ballata ("Teresina e Paolineto", "Due fedeli
amanti"), a volte destinata al ballo ("Balè cantè butèle"); la melodia di tipo solistico
rivela la loro origine cantastoriale. Alcune ballate si sono diffuse in
centinaia di LEZIONI dalla Catalogna all'Ungheria, dall'Italia alla Scozia, come
"L'inglesa" e "La pastorella" della sfruttatissima
tematica: il cavaliere e la
pastorella. Attraverso la ballata, fino al secolo scorso, si veniva a conoscenza
anche degli avvenimenti drammatici, come "L'inondassion" che racconta
dell'alluvione del Polesine del 1892 e come "Un sabato di sera" che racconta del
naufragio realmente accaduto nel 1912 sul Lago Maggiore, fatto raccontatoci
anche da una testimone. Ci si può imbattere,
anche, in riferimenti storici, che possono far discutere, come in "Dona
lombarda", raccolta dal Righi nel 1858 a Vestenanova,
dettata da Rosa Massalongo, una delle centinaia di versioni esistenti. Una
particolare attenzione merita "La monichella", anche questa di origine
cantastoriale, diffusa in tutto il Lombardo-Veneto. R. Leydi osserva: sia il
testo che la musica sono di tipo ottocentesco, ma il componimento affonda le sue
radici in un terreno anteriore. Potrebbe avere origini seicentesche, all'epoca
della rifeudalizzazione delle terre. Per laorenti e fittavoli era difficile o,
meglio, inopportuno fornire la dote alle ragazze nubili, conveniva costringerle
alla monacazione. Ad essa, spesso, le giovani si sottraevano, concordando con il
loro spasimante una specie di rapimento consensuale, che però toglieva allo
sposo ogni diritto alla dote. Canto-gioco. Interessanti sono i canti di tipo numerativo,
che avevano uno specifico scopo educativo e di apprendimento. Così il bambino
imparava i numeri, i giorni, i mesi, le stagioni e le parti del corpo, ma
imparava anche a coordinare i movimenti; prendeva confidenza con il ritmo ed esercitava la
memoria ("La mosca mora" "Canson roversa" "Ci l'à fato",
"Filastrocca"). Ninna nanna.
Viene spontaneo un sentimento di solidarietà
con la donna che sfogava le proprie frustrazioni nell'unica occasione in cui si
trovava finalmente sola. Nessuno la poteva sentire, infatti, mentre addormentava
il suo piccolo con ninne nanne dolcissime, ma dai contenuti che esprimevano
rabbia per la dura vita e per la sottomissione ("Dormi mia bela dormi", " Ninna nanna", "Nine nane").
Canto
d'amore. L'amore copre
grande spazio tra le cante: l'approccio festoso e timido, lo sguardo furtivo ,
l'ardimento del primo bacio ( "Fiorin di pepe" , "Serenata" , "Le carosse", "Dami un
bacio"); il corteggiamento e l'amore negato
("Damelo damelo", "Dame la rosa", "Biondina d'amor"); l'amore tragico ("Amavo un amorino", "Marieta a la
finestra") e l'amore tradito ("El marinar", "Angiolina"). Le più numerose sono
le canzoni di tipo ironico a sfondo erotico ("Un
beco", "Come se fa", "Oh suonador") e a doppio senso ("La
bicicleta", "La Filomena", "La vien giù da le montagne") che
garantivano il divertimento. Contrasti. I battibecchi tra marito e moglie, madre
e figlia, nuora e suocera, ecc. costituivano argomento per il canto e, probabilmente, per piccoli
spettacoli casuali e improvvisati tra amici in contrà ("Medi el meo", "Angelo
bel Angelo", "Cara mama me voi maridar"). Magia. Talvolta il testo diventa enigmatico o assume
significati profondi, talvolta compaiono simbolismi ed emblemi ("Son passato",
"L'inglesa"), talvolta compare la magia, la formula magica o la semplice parodia
di formule magiche ("La si mete i seceti in spala", "La mia mama l'è
vechierela") o addirittura elementi di
rituali arcaici ("Sa gala magnà la sposa", "La bela s'endormensa"). Non mancano i canti rituali veri e propri,
cioè quelli che servivano a celebrare i vari periodi e le feste del calendario
tradizionale della cultura contadina ("Angiliti", "In questa santa note de
l'oriente"). Canti sul lavoro e l'emigrazione. Particolare
attenzione meritano questi canti, dai quali traspare la sofferenza dei momenti
difficili, a volte mascherata da un velo ironico: la guerra ("Passando per
Milano", "Pulsi piòci e sìmesi"), il movimento anarchico ("Gran Dio del cielo"),
la diserzione ("Ero un misero
disertore"), ma anche il duro lavoro ("Gli esempòneri": manovali della strada
ferrata in Prussia), come quello della famosa
canzone "Gli scariolanti", legata ai lavori per la bonifica del Polesine e delle
regioni costiere emiliane. Canzone conosciuta dalla
nostra gente, perchè dal 1880 la bonifica richiamava anche contadini e
braccianti del veronese, attratti dalla nuova possibilità di impiego. Per
l'irrisorio salario di circa una lira al giorno, i lavoratori erano costretti ad
avviarsi "a mezzanotte in punto" verso
la bonifica. Suonava la tromba, o forse un corno, e bisognava alzarsi dal letto
di paglia ed affrettarsi: questa la dura vita del bracciante con la carriola.
I canti di emigrazione interna trasudano
tribolazioni e sofferenze ("Senti le rane che cantano"). Ecco la canzone di
cantastorie per raccontare della nave "Sirio" che solcava l' oceano per portare
in America il suo dolente carico di emigranti e poi il quattro agosto del 1906
il drammatico naufragio. È sarcastica ironia il finale di "Merica Merica":
Merica! Merica a lavorar!
Musica strumentale da
ballo e ballo
cantato.
La musica, il canto e il ballo
sono sempre stati "energetici" dei quali il popolo
non si è mai privato. Nel cinquecento, la danza prende forme precise e si
diffonde in numerose specie e successioni tra loro: l'allemanda, la courenta,
la giga (che costituirono poi la suite nella musica
colta), la pavana e la gagliarda, il passamezzo e il saltarello, la ciaccona
e la bergamasca, la musette e la gavotta, la
furlana, la polesana, la manfrina, il sòtis, la
valsivièn, il setepassi, il trescone, la quadriglia, la polca e la
mazurca! È evidente che l'argomento danza popolare meriterebbe una grande attenzione, ma
fortunatamente a Verona esistono due gruppi (La Prilla e il Gruppo Ricerca) che
si occupano di ricercare e riproporre gli antichi balli. Importanti ricerche sono già state fatte in passato, tra queste
il prezioso censimento fatto nelle valli trentine da J. Sonnleithner nel 1819
(per conto della Società detta "Gli amici della musica dell'Impero
Austriaco"). All'inizio del XVII .mo secolo era in voga, tra i musicisti, il
divertimento nel creare variazioni su melodie note. Così come Frescobaldi
numerosi altri ci hanno lasciato, con i loro lavori, precise informazioni sulle
danze o canzoni di moda in quel periodo e fino a un secolo prima: Follia,
Bergamasca, Ruggiero, Monica, Romanesca ecc. La "Folia" (o "danza del Turco"): è un ballo, su melodia in 3/4, tra i
più antichi della nostra raccolta e le sue origine sono dubbie. Le tracce
conducono in Portogallo ma qualcuno ha pensato di accreditarla al mondo degli
zingari gitani virtuosi del violino. In Spagna la ritroviamo come danza di
corteggiamento amoroso, dai gesti e dagli atteggiamenti carichi di erotismo, dal
ritmo rapido e in continua accelerazione. In Francia divenne popolarissima,
soprattutto in Provenza (folies d'Espagne). In Italia si diffuse prestissimo.
Interessò anche G. Frescobaldi, ferrarese, che nel 1615 la
inserì tra le sue "partite" sopra arie famose. Un esempio che ricalca
perfettamente il tema della Folìa è la "XIIa sonata in re minore, per violino e
basso continuo, op. 5a di A. Corelli composta verso il 1700, il ritmo è più
grave e severo ma la melodia è perfettamente identica! Simile anche la "Trio
sonata, La follia, RV 63 in re minore" di A. Vivaldi. Altri si sono ispirati a
questa danza come l'ungherese Liszt e il russo Rachmaninov. La "Bergamasca
" è un ballo in tempo binario,
sopravvissuto nell'Appennino Romagnolo, che ritroviamo nel 3° libro delle
"Villotte del fiore" del 1569 di F.Azzaiolo e nei capricci dei "Fiori musicali"
del 1635 di Frescobaldi. La "Giga Fraràisa" (giga ferrarese)
era una danza, dai movimenti piuttosto vivaci, eseguita in
coppie pari, mano nella mano, disposte frontalmente; molto diffusa
nell'appennino settentrionale. Questa, però, è molto diversa dalla danza di
società, ballata nelle corti d'Europa sotto il regno di Luigi XIV, e nulla ha a
che fare con la "giga", tempo mosso della suite strumentale. La
"Furlana" (friulana) è ben
descritta da Sachs nella sua "Storia della danza": originaria del Friuli, per
lungo tempo è stata una danza popolare nel Veneto, una danza di corteggiamento
molto animata in tempo di sei ottavi, eseguita da una o due coppie la volta:
L’uomo e la donna si avvicinano e si allontanano, le mani e
i piedi si toccano e si separano, le braccia sono slanciate in avanti o
tracciano dei mulinelli nell'aria: sembra una tarantella, ma più irregolare e
frammentaria. Il termine Soti (scottisch, ecossaise,
scozzese) è il nome di una danza a coppia in tempo 2/4. Nonostante la sua
popolarità, anche nel Veronese, le origini di questa danza sono incerte e si
ritiene che sia nata nelle sale da ballo parigine. Il suo maggiore sviluppo lo
ebbe in Francia e nella regione occitana. Ha il carattere della contraddanza, di andamento vivace, con elementi simili alle danze
inglesi e per questo veniva chiamata "scozzese" ("Soti di Valdiporro"). Da non
confondere con la "schottische", pure essa in misura binaria,
danza in tondo che si ballava in Inghilterra, verso la metà del secolo scorso,
che però si chiamava "german polka". La Polca è una danza a coppie su un
tempo 2/4 che dal 1850 si ballava in Italia settentrionale e in Francia. Nata in
Boemia verso il 1800, presto giunse in Germania e venne chiamata "schottische"
per il semplice motivo che lo schema coreografico della polka era costituito da
una combinazione di balli fra i quali anche la "Ècossaise" che è andata di moda
fino all'arrivo della polka. Il ballo che, in Italia, ebbe maggior successo
fu, senza dubbio, la"Manfrina". Si
trattava di un ballo, a coppie, di corteggiamento, privo di una precisa
coreografia, composto di due momenti. Prima, con gesti e parole, la coppia mima
rimproveri e liti, poi, finita la sceneggiata, torna ad abbracciarsi in un passo
di polka. Si usava far ballare solo alcuni, quelli che con la mimica risultavano
più bravi, mentre il resto della compagnia si godeva lo spettacolo. I
numerosi pezzi strumentali da ballo reperiti sono bellissimi nella melodia e nel
ritmo e meriterebbero di essere riuniti in una raccolta! Molte canzoni sono
nate da balli strumentali ("La polesana", "Tocheme caro", "Furlana"), spesso
formate da un collage di strofe senza nesso logico. Oppure non si tratta affatto
di canzoni ma di versi con poco senso (Teresina bàseme un pie / Teresina bàseme un pie / el
Manfron l'è morto in guera dirindindèra dirindindèra / el Manfron l'è morto in
guera dirindindèra dirindindà) e spesso di genere licenzioso, di giochi
di parole, veri e propri mezzi inventati dai musicisti popolari, utili per
ricordare la melodia e il ritmo dei balli troppo numerosi. Inoltre, si può
ipotizzare che, in assenza di musicisti, nelle contrade, pur di ballare, ci si
arrangiasse con il canto, canti monostrofici spesso improvvisati. Il ballo "sète
passi" (ballo a passo zoppicante), in
Veneto, è diventato "Cori cori Bepi" per l'inventiva popolare nel mimare la
melodia del ballo che proveniva dalla tradizione austriaca. Nei dintorni di
Innsbruck, nel Tirolo, abbiamo goduto per lo straordinario incontro con un
anziano girovago cantastorie che ci ha eseguito il settepassi (siebenschritte)
cantando, ovviamente, un testo diverso dal nostro,
accompagnandosi con la "ghironda" (vedi: strumenti). La
villotta (alla friulana, alla
veneziana, alla mantovana, ecc.) era la forma musicale più diffusa nel Veneto e
nell'Italia settentrionale. Brani strumentali da ballo sono diventati supporto di
testi ritmici, per lo più monostrofici, di contenuto amoroso, allegro e talvolta
licenzioso. Con ritornelli strumentali ricoperti poi da liolela, nio o nonsense
nel tentativo di mimare la musica ("Cara mama voi maritarmi", "Nina gh'e qua
l'inverno", "Tocheme caro"). Strumenti. Svariati sono gli strumenti che i musicisti popolari hanno
usato nel corso dei secoli. Possiamo tranquillamente affermare che ogni
strumento esistito è diventato strumento popolare. L'ambiente aristocratico e
della musica colta rincorreva la moda e le innovazioni richieste da ulteriori
esigenze timbriche, acustiche, virtuosistiche, mentre nell'ambiente popolare la
tradizione ha conservato fino ai nostri giorni l'uso degli strumenti assorbiti
anticamente ed ora riportati in auge da gruppi amatoriali. Il
flauto,nei diversi generi, è sempre stato strumento popolare. Nel 1500, per
l'ingegno dei pastori, è nata la cornamusao piva che si suonava in
accoppiata con il piffero. Fra gli strumenti
a corda il più antico nell'uso popolare è la ghironda. La cassa
acustica ha la forma di liuto, le corde vengono sfregate da una ruota con il
bordo impeciato, azionata da una manovella. Accanto alle corde ad intonazione
fissa (corde di bordone), ci sono quelle che producono la melodia, essendo
tastate da tangenti applicate a numerosi cursori comandati, per mezzo di tasti,
dalle dita del suonatore. Con opportune variazioni
nello spingere la manovella si possono produrre effetti di stacco e di
accompagnamento ritmico. L'origine della ghironda va ricercata nell
'organistrum, strumento che per la sua grandezza necessitava di due suonatori.
Curt Sachs nel suo "Storia degli strumenti musicali " così spiega: l'abate
Oddone di Cluny, il quale morì nel 942, dedicò a questo strumento uno studio
intitolato "Quomodo organistrum construatur" (Come si costruisce una
ghironda). Così abbiamo testimonianza
del nome scolastico e dell'antico uso monastico di questo strumento all'inizio
del X secolo. Esso veniva certamente usato per guidare e sostenere il canto dei
monaci. Forse fu la vittoriosa ascesa dell'organo a far uscire la rudimentale
ghironda dalla chiesa e dalla scuola. Divenuto poi un comune strumento tra altri
strumenti, nel '600 passò ad essere popolare grazie alla sua facilità d'uso. La
ghironda fu strumento dei giullari, che la diffusero in tutta Europa: in Francia
venne chiamata vièle, in Inghilterra hurdy gurdy e
in Germania leierkasten. Spesso veniva usata in
coppia con la cornamusa per eseguire composizioni di ispirazione pastorale, ma
fu usata soprattutto da mendicanti girovaghi, spesso ciechi e per questo venne
chiamata anche "viola da òrbo". Si può affermare che la ghironda è stata vista e sentita ovunque.
È ancora, scarsamente, in uso in Italia settentrionale soprattutto
nell'Appennino Parmigiano, nelle valli di cultura occitana e in Ungheria. Altri strumenti a corda, amati dagli
strumentisti popolari, sono il violino, che divenne indispensabile nella musica
da ballo, la chitarra che nacque nel 1600 con il tramonto
del liuto e il mandolino immancabile nelle orchestrine popolari. Qualche
anziano ricorda l'organetto di barberia (a canne),
chiamato semplicemente organetto, il più popolare fra gli strumenti meccanici e
il principale strumento dei suonatori ambulanti in sostituzione della ghironda.
Il tipo più piccolo si portava ad armacollo e quello grande sopra un carro,
entrambi venivano azionati da una manovella. Altro strumento aerofono, molto
diffuso ancora oggi, è l'organetto diatonicoantenato della
fisarmonica con la notevole differenza (che per un fisarmonicista diventa un
handicap) che in apertura non si ottiene la stessa nota che in chiusura. Un
musicista popolare ha dimostrato interesse e destrezza nell'uso di numerosi
altri strumenti, arricchendo il ritmo con ogni tipo di percussione. L'ingegno
popolare ha sostituito l'uso di strumenti costosi con strumenti costruiti con
materiali domestici, parliamo del bidofono o liròn che imita
in maniera entusiasmante il contrabbasso.
Musicisti popolari. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere alcuni che, a suo tempo,
possedevano. le caratteristiche di musicisti popolari. DOMENICO
ANSELMI, di San Bortolo, figlio di un fisarmonicista
costruttore di fisarmoniche, detti entrambi "El Minci". Domenico (fu portato,
come un trofeo, ad esibirsi in piazza Dante a Verona) suonava sempre una Polca
che ora è (al sicuro) nel nostro repertorio. SEVERINO MAINENTE (Vestenanuova, 1911) da ragazzo prendeva lezioni di
musica due volte la settimana e per questo, di sera, a piedi, con la fisarmonica
in spalla, andava da Vestenanuova a S. Bortolo dove un professore insegnava
teoria e tecnica di vari strumenti. Poi si formò il gruppo: due violini, due
chitarre, un mandolino e la fisarmonica del nostro informatore (tipica
formazione strumentale popolare). Sempre a piedi andavano a suonare nelle feste dei paesi, e anche a
Verona, e le ragazze venivano dai paesi vicini per ballare. Suonavano valzer,
polche, manfrine e mazurche. "Eravamo molto bravi, racconta Severino, e la
nostra musica risultava essere molto bella". Lo strumentista popolare in
effetti, a quei tempi, era un musicista preparato, in grado di maneggiare la
musica, anche se solo nell'ambito del proprio genere. Con la guerra tutto ciò
ebbe fine. "EL BORSETE" o GAETANO TURCO (Illasi, 1869/1947)
detto anche "barba" era un personaggio stravagante ma non privo di fascino.
Severino ci racconta del Borsete come del più grande fisarmonicista della zona:
"suonava da rimaner incantati, da solo era come un'orchestra perché
contemporaneamente alla fisarmonica suonava, con i piedi, uno strano strumento
che produceva note da basso; con una voce calda e possente, cantava operette e
lunghe storie mai sentite. Una domenica andammo, a piedi, da Vestena fino a
Recoaro pur di sentirlo suonare". La nipote Turco Ottavia (Illasi, 1902) lo
ricorda come un gran bell'uomo con la barba lunga, frac e gilè bianco e un
cappellone in testa. Girava tutta l'Europa e si manteneva suonando la
fisarmonica. In Germania si sposò con "la Gesìna". Si esibì anche alla corte
dello Zar di Russia! Saltuariamente veniva ad lllasi dai suoi parenti per
rimanerci solo alcuni giorni e poi ripartiva.
Conclusioni. La Storia ufficiale tratta di re, di generali e delle loro
guerre; la Letteratura tratta di grandi poeti, artisti, musicisti e delle loro
opere. Tutto il resto, cioè la vita del popolo, le sue sofferenze, la morte, non
è mai stato soggetto meritevole di storia. Tutto ciò ci spinge ad operare per
una nuova circolazione della comunicazione popolare, per restituire storia e
cultura al legittimo proprietario, cioè il popolo che ne è stato spogliato. Per
questo, il nostro statuto prevede come finalità "il recupero della tradizione popolare al fine
di realizzare la più ampia e compiuta raccolta possibile di materiale e
restituirlo al patrimonio comunicativo popolare, trascrivendo e poi diffondendo
le composizioni mediante ogni forma adatta allo scopo".
Al parecer, este texto que nos ha llegado por mail habría sido tomado de http://www.canzonieredelprogno.it/. En el caso, sepan disculpar la omisión involuntaria.
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Si prega di citare la fonte da cui si è copiato il testo!!!!!!!
ResponderEliminarwww.canzonieredelprogno.it
Hola! qué lindos recuerdos! mi nono me cantaba "ciao, ciao, ciao, moretina bela, ciao (...) un bacio a la mia mamma, un bacio al mio papa... su familia (de apellido Alessio/Bono) era originaria de Savigliano (Cuneo), en Argentina vivió en Santa Fe y en Córdoba. Muchas gracias por el recuerdo!
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